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Cosa ci lascia la Supercoppa Made in Arabia?

Dagli stadi vuoti, al fischio al minuto di commemorazione per Gigi Riva. La spettacolarizzazione del calcio italiano è un fiasco senza precedenti

Ha vinto l’Inter la finale contro il Napoli in un torneo che non ha divertito nessuno. Una vittoria che consacra Inzaghi come re della Supercoppa italiana, superando un fior fiore di allenatore come Capello (5 a 4 rispettivamente) e che ha restituito ai nerazzurri il primato di averla alzata al cielo per più volte. Ha avuto successo la squadra nettamente più forte e più in forma. Nessun sussulto, nessun gol subito, quattro gol fatti tra semifinale e finale. Evviva, evviva. Eppure, non si sono frenate le polemiche, in campo, con un arbitro bipolare, e fuori, con le parole del presidente della Lega Calcio. Ma andiamo per gradi.

La scelta di giocare in Arabia e il format del torneo

Italia e Arabia è un sodalizio tutt’altro che meramente calcistico. Si conoscono i riflettori che puntano la luce su ben altri lidi, dal commercio alla rotta delle nuove risorse energetiche. Al tifo più conservatore e nazionalpopolare la scelta di giocare la Supercoppa italiana nell’arido Paese mediorientale, avanzato e moderno nelle strutture, molto meno nel tessuto sociale, non è andata per niente giù. Dagli ultras di Napoli, Fiorentina e Lazio fino a Maurizio Sarri, allenatore dei biancocelesti, tutti in coro contro “la coppa della moneta”. Eppure, nonostante lo show si sia mostrato al pari di un Trofeo Birra Moretti estivo come godimento sportivo, Lorenzo Casini, presidente della Serie A, si è sbilanciato sulla possibilità di stringere ulteriormente la partnership con l’Arabia Saudita, prevedendo in futuro anche una giornata di campionato disputata lì: «Stiamo valutando, con pro e contro», ha spiegato allo Snack Summit dal titolo ‘From Local to Global’. La teoria di Superlega, tanto vituperata, non ha mai raggiunto una supercazzola così (in)credibile. E non contento Casini ha aggiunto: «Il mercato arabo ci chiede quello che mi pare sia avvenuto: portare la tradizione, la notorietà e il talento del calcio italiano». Ma quello che il presidente Casini ignora non è solo la pancia della gente comune in Italia. Bensì il numero uno della Lega Serie A è ignaro o ignora persino il volere dei tifosi locali. Ha scontentato tutti. Gli arabi infatti invece di Fiorentina e la Lazio, compagini storiche del nostro calcio, si sono domandati dove fossero Juventus e Milan, certamente più seguite in quelle latitudini. L’atteggiamento di dissertazione alla partita d’apertura della Supercoppa italiana tra Napoli e i Viola testimonia una tradizione tutt’altro che esportata del nostro calcio, non in grado di mettere a sedere in uno stadio, quello di CR7, nemmeno 10mila tifosi. Solo le architetture artificiose di cori e applausi a comando tecnologico sono riuscite a evitare la figuraccia di una Supercoppa, il cui format semifinale-finale ha ingolfato il motore di atleti già spremuti fino al midollo, con formazioni ora arrendevoli ora decimate dalle assenze.

La finale, i fischi a Riva e l’arbitraggio fallimentare

Il primo colpo “di tuono” alla stabilità del calcio italiano si ha già alle 21 circa quando il telecronista Mediaset, annuncia che Gigi Riva ha lasciato la vita terrena. Un atleta puro a cui il nostro Paese deve molto. Non basterebbero le parole per descrivere ciò che l’attaccante con quel mancino d’acciaio ha rappresentato per la Nazione intera. Riva è leggenda. Si inizia la finale senza il minuto di silenzio in sua memoria che viene posticipato tra il primo e il secondo tempo. Qui, la seconda tuonata arriva forte e chiara alla visione di tutti. All’immagine del mito decaduto comparsa sui tabelloni, lo stadio sponda araba risponde con fischi assordanti. Non è ammesso commemorare né ricordare così una persona nella loro religione. Abbiamo concesso questo omaggio “delicato e cordiale” da parte di un microcosmo, sportivo e umano, che non sa cosa sia il nostro calcio né vuole conoscerlo, in barba alla tradizione e notorietà tanto decantata da Casini. Una figuraccia mondiale in cui l’Italia tutta, insieme al calcio, ha subalternato la sua dignità al denaro, il ricordo di un campione-eroe nazionale alla mercé di un popolo miscredente della nostra cultura.

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Rapuano: perché?

Tanto ha tuonato che piovve, e i casini (non solo quelli del presidente omonimo) si manifestano anche in mezzo al campo. A dirigere la mattanza l’arbitro Rapuano che in preda a un’isteria bipolare, caccia, bulimico, cartellini a tutto spiano, cambiando totalmente spartito nel secondo tempo. Il misfatto si compie all’orizzonte dell’ora di gioco dove Simeone, già sanzionato, calpesta il piede di un avversario. Doppio giallo e rosso. Mazzarri è una furia, i calciatori in campo anche. De Laurentiis a fine partita non le manda a dire pur non scomponendosi troppo. Alla base della contestazione non è tanto per il secondo intervento ma per quello precedente in cui il Cholito si è visto sventolare un giallo troppo generoso per un fallo su Calhanoglu, autore di molte più infrazioni dell’argentino ma rimaste impunite. Due pesi e due misure a cui nessuno si è potuto sottrarre dal giudicare. Gli interventi social di Calvarese, ex arbitro, spiegano come la direzione di gara sia stata improvvida. Anche Massimo Mauro si è detto perplesso sull’intervento dell’attaccante del Napoli, la cui espulsione consegna all’Inter definitivamente il destino della partita, giocata stoicamente e molto attentamente dagli azzurri. Da segnalare infatti le sontuose prestazioni di Lobotka, Gollini e Rrahmani mai in affanno nelle numerose incursioni delle furie nerazzurre.

Marotta League

Alla fine, l’ha spuntata la squadra più forte ma solo al 91’ su un gol di rapina di Lautaro, l’uomo più atteso. L’ha vinta la squadra più seguita e tifata, forse meglio apprezzata e accolta in terra saudita, guidata da un amministratore delegato, tale Giuseppe Marotta, che è un vero uomo di potere che sa trasformare queste occasioni di “non-calcio” in propaganda pomposa per il suo club. La soap opera della Supercoppa italiana ha seguito quindi il copione finale con il lancio ipocrita delle maschere. Tutti i protagonisti felici di commentare una squadra imbattibile destinata a raggiungere la seconda stella, l’accoglienza calorosa degli emiri, la civiltà moderna degli ospitanti, il successo stratosferico di questa competizione. Ci troviamo evidentemente nell’ancien régime del calcio nostrano.