Home In primo piano Dalla santità alla fallacia, la crisi del Demiurgo Aurelio

Dalla santità alla fallacia, la crisi del Demiurgo Aurelio

L’imprenditore (geniale) dello Scudetto fa i conti con una crisi della squadra dovuta a scelte poco azzeccate durante l’estate

Di Dario Curcio

Convinto dei suoi mezzi lo è sempre stato. La conquista dello scudetto da parte del Napoli nella scorsa stagione, però, pare abbia moltiplicato l’autostima – diciamo così – che il produttore cinematografico, inventatosi presidente di una società di calcio circa vent’anni fa, ha sempre avuta e dimostrata nei confronti delle sue capacità imprenditoriali che, non lo neghiamo, in un certo qual modo pure esistono e vanno riconosciute. Riuscito in un’impresa che, prima di lui, alle falde del Vesuvio era stata possibile solo grazie all’acquisto di un certo Diego Armando Maradona, il padre-padrone della squadra azzurra – da sempre rivendicata come una sua esclusiva proprietà che non contemplava interferenze e  condizionamenti di alcuno, in primis quelli dei tifosi, nelle sue scelte – ha visto il proprio ego smisurato sconfinare, elevarsi, sublimarsi in uno stadio successivo che, forse intimamente, sussurrandolo a  bassa voce, lo porta a credere di essere assurto a uno stato di semi-dio; appena appena un gradino più sotto della divinità assoluta del calcio che fu il  numero 10 per eccellenza di cui sopra. Prova ne è lo sfoggio di ubiquità – connaturata, è risaputo, ad una natura divina – che lo ha condotto, dopo che il Napoli si è cucito sulla maglia il terzo tricolore, a sbarazzarsi dei coprotagonisti e collaboratori nella realizzazione di quella epica impresa: il tecnico Luciano Spalletti prima e il direttore sportivo Cristiano Giuntoli poi.

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L’ubiquità è un valore?

In un atteggiamento da se “Lui può essere in cielo, in terra e dappertutto, io posso essere alla presidenza, alla guida tecnica, alla direzione sportiva, alla Filmauro, al centro sportivo di Castelvolturno e alla sede del calciomercato”, il proprietario azzurro ha scelto in splendida solitudine l’allenatore; fatto in altrettanto meraviglioso isolamento la campagna acquisti e cessioni; suggerito, per non dire dettato, al neo-mister Rudi Garcia scelte di campo quali, si sussurra, quella dello spasmodico utilizzo di Giacomo Raspadori o dell’indifendibile difesa a oltranza dell’estremo difensore – ci si perdoni il gioco di parole – Alex Meret. Il miracolo, però, al momento pare non esserci stato, anzi. La squadra campione d’Italia è, purtroppo, in bilico tra Paradiso e Purgatorio; e in attesa che le cronache aureliane ci rendano edotti sul fatto che il presidente ha nottetempo tramutato l’acqua in vino, è meglio che Aurelio De Laurentiis accantoni le pratiche per la beatificazione prossima ventura e torni con i piedi per terra: rischio concreto, altrimenti, che a fine stagione, sportivamente parlando, si finisca tutti all’Inferno.