Il Petisso come Mazzarri?
In una dichiarazione esclusiva resa a Only Naples, il giornalista e saggista Gigi Di Fiore, una vita a “Il Mattino” di Napoli, ha arditamente definito Walter Mazzarri un possibile, novello Bruno Pesaola. Perché? Semplicemente in quanto il “Petisso”, già calciatore azzurro negli anni 50, da allenatore vestì più volte, tra i primi anni Sessanta e la prima metà degli Ottanta, i panni di salvatore della patria calcistica napoletana: chiamato in più occasioni a sedere sulla panchina partenopea. Ripercorriamo, allora, soprattutto a favore dei più giovani che non hanno memoria dell’argentino che, prima di Omar Sivori e sua maestà Diego Armando Maradona, fece innamorare sul campo da gioco Napoli e i napoletani e, a sua volta, si infatuò egli stesso della città (tanto da stabilirvisi una volta apprese le scarpette al fatidico chiodo), le sue gesta da mister alle falde del Vesuvio.
1961-62. Accoppiata storica promozione in Serie A e vittoria in Coppa Italia
Bruno Pesaola non ha ancora smesso di calcare il rettangolo verde e detto definitivamente addio al calcio giocato quando, il 28 gennaio 1962, all’età di 36 anni, viene chiamato per la prima volta ad allenare quella che allora era l’Associazione Calcio Napoli. È la prima giornata del girone di ritorno e gli azzurri militano in Serie B. Quella domenica il Napoli cade a Novara e scivola al quart’ultimo posto. La piazza rumoreggia: temendo un’inopinata retrocessione in Serie C.
L’allora presidente Alfonso Cuomo decide così di sollevare Fioravante Baldi dall’incarico di allenatore e chiamare il Petisso a rilanciare le sorti di una stagione compromessa. Pesaola accetta: lasciando la Scafatese nella quale rivestiva il ruolo di calciatore-allenatore. Sarà un trionfo.
Rivitalizzata dalla cura del neotecnico argentino, la squadra compie una vera e propria impresa che, ancora oggi, insuperata, è impressa negli annali del calcio nazionale. In campionato, infatti, macina risultati e risale posizioni fino a raggiungere e conquistare l’insperata promozione nella massima serie; ma c’è dell’altro. A fine anno gli azzurri si aggiudicano anche il primo trofeo a 36 anni dalla fondazione del club nel 1926: la Coppa Italia vinta contro la Spal nella finalissima unica all’Olimpico di Roma; e questo li consegnerà alla storia dell’italico pallone: unica squadra, il Napoli, a centrare la doppietta promozione-coppa nazionale.
1962-63. Il ritorno nell’inferno della cadetteria
Squadra che vince non si cambia e così il mister avrà pensato il presidente Cuomo confermando il Petisso, al quale, però, nelle vesti di direttore tecnico, affiancherà Eraldo Monzeglio. La stagione è un calvario.
Il Napoli non si scosterà pressoché mai dai bassifondi della classifica: retrocedendo dopo appena un anno in Serie B.
1964-68. La Coppa delle Alpi e la lotta scudetto.
Il periodo più lungo di Bruno Pesaola sulla panchina della sua ex squadra da calciatore che, intanto, è diventata Società Sportiva Calcio Napoli e ha visto l’ascesa al soglio presidenziale di Roberto Fiore.
Richiamato in panca nella stagione calcistica 1964-65, il mister argentino sempre con la sigaretta accesa tra le labbra, centra nell’ordine: una promozione in Serie A; una vittoria in Coppa delle Alpi (segundo titulo, per dirla alla Mourinho, nella storia azzurra), torneo che, allora, a fine stagione metteva di fronte squadre italiane e svizzere; un terzo, un quarto ed un primo, storico, secondo posto in campionato – alle spalle del Milan – che accende la fantasia della tifoseria tra una magia del connazionale Sivori, “El Cabezon”, ed un goal di quel José Altafini che, qualche anno più tardi, per i supporter azzurri diventerà “Core ‘ngrato”. Causa le incertezze societarie dovute all’uscita di scena di Fiore, all’interregno di Gioacchino Lauro, figlio del “Comandante”, e al prossimo venturo approdo alla presidenza di Corrado Ferlaino, però, Pesaola preferirà lasciare Napoli e accasarsi a Firenze dove, al primo anno, vincerà lo scudetto solo sfiorato in riva al Golfo.
1976-77. La cavalcata in Coppa delle Coppe
A Napoli non si sono ancora spenti gli echi del calcio champagne, ammirato nel triennio precedente, proposto dalle squadre allenate da un’altra vecchia conoscenza dell’ambiente: Luis “O Lione” Vinicio. Triennio culminato nella vittoria della seconda Coppa Italia e nelle dimissioni dell’allenatore brasiliano. Incerto sul da farsi, l’Ingegnere vira decisamente sull’usato sicuro e, così, per la terza volta in 15 anni, Bruno Pesaola assume la carica di tecnico del Napoli. In campionato gli azzurri centreranno il sesto posto; poi convertito in settimo a causa del punto di penalizzazione comminato per le intemperanze della tifoseria nella gara casalinga con la Fiorentina. In Europa, invece, sarà una cavalcata trionfale fino alle semifinali di Coppa delle Coppe quando, purtroppo, un arbitraggio scandaloso nella gara di ritorno contro l’Anderlecht in Belgio, defrauderà letteralmente la squadra del meritatissimo approdo in finale.
1982-83. Arrivo in corsa e salvezza miracolosa
La quarta e ultima esperienza del Petisso alla guida del Napoli sarà quella della stagione calcistica 1982-83. L’argentino sarà chiamato in corso d’opera da Ferlaino per riparare ai danni del tecnico friulano, ex Milan e Torino, Massimo Giacomini. A fine novembre, nonostante un certo Ramon Angel Diaz in attacco, la squadra è nelle zone calde della classifica: avviata a una probabile retrocessione. Il Petisso si accomoda sulla panchina azzurra nelle vesti di direttore tecnico, affiancato dal vulcanico Gennaro Rambone in quelle di allenatore. Grazie a una media punti da qualificazione in Uefa nel girone di ritorno, vincendo la gara interna con il Cesena all’ultima giornata, Pesaola-Rambone scacceranno i fantasmi e regaleranno la salvezza alla piazza e, alla società, la possibilità di restare nella massima serie e preparare la svolta che aprirà le strada per l’arrivo del “Pibe de oro” e la vittoria dei primi storici tricolori.
Quattro esperienze da allenatore azzurro per il mister argentino scomparso, a circa novant’anni, nel 2015. Un bilancio estremamente lusinghiero con 3 coppe vinte, due promozioni dalla B alla A, una salvezza e una semifinale di Coppa delle Coppe. Unica macchia la retrocessione del ’63. Forse, a volte, anche una minestra riscaldata può non risultare indigesta.