Napoli-Genoa è stata l’ennesima pagina di una stagione fallimentare. Forse la partita con cui il Napoli ha rinunciato definitivamente all’Europa che conta, con flebili e chissà quanto desiderate speranze di rincorsa per un’Europa minore, Europa League o Conference, che per nulla alletta società e tifosi. Gli azzurri sfornano così l’ennesima prestazione che certifica l’attuale sterilità offensiva della squadra: 74% del possesso palla, 25 tiri totali di cui solo 7 nello specchio della porta per un xG totale di 1.37 (dati Sofascore) in linea con il risultato finale. Walter Mazzarri è ritornato nuovamente al 4-3-3 ma le combinazioni offensive sono farraginose e vengono immediatamente stoppate dalle marcature uomo su uomo del Genoa. Non resta dunque che affidarsi alle iniziative individuali del povero Kvaratskhelia, l’unico capace di saltare l’uomo per tentare l’ultimo passaggio decisivo per uno dei compagni, sempre in ritardo o poco lucidi sottoporta. Lo svantaggio subito dagli azzurri è emblematico del disastroso tentativo d’imitazione di 4-3-3 spallettiano verificatosi prima con Garcia, ora con il mister toscano: tra difesa e centrocampo si creano costantemente delle voragini. Al portiere del Genoa basta un passaggio in verticale di 30 metri su Retegui per lanciare il Genoa in un’azione offensiva, con la punta italo-argentina che trova un uno-due con il brasiliano Messias. L’incursione del puntero viene fermata da Natan, subentrato ad Ostigard ammonito, il quale però spazza maldestramente su Frendrup che dal limite dell’area buca di sinistro Meret. La colpa principale del gol è da assegnare ad Anguissa che dapprima non effettua l’intercetto per chiudere la linea di passaggio di Martinez; poi, sempre il camerunense, si dimentica completamente del riferimento in marcatura Frendrup nel rientrare a difendere. Il passaggio al 4-2-3-1 con l’inserimento di Lindstrom e Ngonge al posto degli opachi Traoré e Politano, sa di copione già visto. L’assalto all’arma bianca verso la porta difesa da Martinez trova una rete allo scadere dell’ala belga acquistata a gennaio dal Verona ma non basta per portare a casa i 3 punti. Il Napoli è dunque mestamente decimo, con Mazzarri che ha totalizzato solo 15 punti in 12 partite di campionato, con una media punti di 1.25 a partita. Molto peggio del pur pessimo Garcia che viaggiava ad un ritmo 1.75 punti a partita. Le giustificazioni avanzate dal buon Walter in conferenza stampa sono al limite del paradossale: «È un momento particolare, quest’anno sono successe talmente tante cose, pure questi ragazzi nuovi da inserire a gennaio. Ora sentono tutti la responsabilità. Non è semplice. 70-75% di possesso palla, dicono che sono all’antica, in quasi tutte le partite abbiamo il possesso palla, gli altri si difendono e ripartono. Non siamo in fiducia». Nel calcio di oggi contano principalmente due variabili: la tattica e la preparazione del piano gara. Queste devono portare ai 3 punti, non a vincere il giochino del possesso palla, dato che se preso come isolato non significa di per sé nulla. Il palleggio lento, prevedibile e orizzontale del Napoli, la mancanza di combinazioni offensive realmente pericolose, l’incapacità di tirare in area di rigore, hanno dato l’impressione di una squadra totalmente in bambola. Mazzarri ha ormai assunto l’atteggiamento del pugile suonato, disposto a provarle tutte alla disperata pur di assestare qualche colpo. A questo punto della stagione, però, parlare di esoneri non ha molto senso considerando i nomi in ballo e l’impegno ravvicinato con il Barcellona. L’unica scelta per cui avrebbe senso parlare di cambio in panchina è quella di Francesco Calzona, attuale ct della Slovacchia: è stato il vice di Maurizio Sarri negli anni di Napoli e collaboratore tecnico di Luciano Spalletti al primo anno in azzurro. Una figura di allenatore che conosce a menadito i meccanismi del 4-3-3 visto negli ultimi anni al Maradona, oltre che l’ambiente partenopeo. L’attuale commissario tecnico slovacco potrebbe fungere non solo da traghettatore ma come allenatore con cui costruire un nuovo ciclo a partire dal prossimo anno. Se dovesse profilarsi tale scenario, non sarebbe da escludere un doppio incarico tra nazionale e club, magari con l’inserimento in società della bandiera Marek Hamsik. Una piccola rivoluzione a pochi mesi dalla fine del campionato che servirebbe a tentare la rincorsa almeno al quinto posto. Sì, perché nel caso l’Italia restasse in testa (o quantomeno seconda) nel ranking Uefa, la quinta posizione potrebbe valere inaspettatamente come piazzamento Champions. Con un Mazzarri così remissivo, tutto ciò ci appare come fatalmente impossibile.