Nelle giornate dell’11 e del 12 aprile 2024, il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Federico II di Napoli parteciperà all’evento della Notte Internazionale della Geografia (GeoNight) con l’iniziativa “Il Metaverso per la narrazione dei territori. Spazi urbani tra trasformazioni e permanenze”. La Notte Internazionale della Geografia è una costellazione di eventi sincroni con altri Paesi che coinvolgono team di ricerca, laboratori, associazioni e appassionati. Un evento che mira a rendere la ricerca geografica più accessibile, contribuendo a valorizzare il lavoro scientifico, didattico e di terza missione. Abbiamo pertanto intervistato la professoressa Daniela La Foresta, docente di Geopolitica Economica al Dipartimento di Scienze Politiche e promotrice dell’iniziativa.
Professoressa La Foresta, quest’anno il tema delle iniziative dedicate alla GeoNight sarà il Metaverso. Perché è stato scelto questo tema?
“Il metaverso è considerato da molti la nuova frontiera di internet, la sua evoluzione, e per noi rappresenta un’opportunità in cui crediamo fermamente. Esso è a tutti gli effetti il gemello digitale del mondo reale: lì avviene tutto quello che avviene nel mondo reale, le cose positive ma anche quelle negative. Dunque, il metaverso può essere considerato uno spazio a tutti gli effetti, uno spazio digitale in cui manca l’elemento della fisicità ma che include tutte le altre caratteristiche spaziali. Il “vicino” e il “lontano”, quindi la prossimità, la perifericità; c’è il potere così come la sua erosione, ci sono gli attori statali e quelli non statali, c’è la formazione, l’addestramento militare, le guerre. Il metaverso è un nuovo spazio competitivo, ma anche uno spazio che offre delle opportunità fino ad ora impensabili. Il nostro obiettivo è quello di esplorare tali potenzialità come anche i relativi limiti e problemi, e la Notte della Geografia ci offre la possibilità di cominciare a farlo. Nello specifico, sperimenteremo il metaverso come strumento di narrazione di alcune esperienze, ma anche di partecipazione ad attività, nel caso specifico di rigenerazione urbana, allo scopo di dare voce a chi voce non ha, come nel caso delle periferie”.
Come si svolgeranno le due giornate e quali risultati ci si aspetta di ottenere dalle attività programmate?
“Allora, le giornate si articolano su due luoghi iconici della città di Napoli, anche molto diversi tra loro: l’Orto botanico e il quartiere di San Giovanni a Teduccio. Chi parteciperà alle attività dell’Orto botanico, il 12 aprile a partire dalle 9.30, potrà visitare il giardino e partecipare ad alcuni laboratori. L’Orto, struttura della Federico II, ha una storia radicata nel tempo e per noi è importante perché rappresenta una frattura dello spazio urbano con l’elemento del verde, della natura. È stato scelto questo luogo poiché capace di mostrare la narrazione di uno spaccato della realtà urbana che, tradizionalmente, non si ascrive al territorio urbano ma che invece fa parte del tessuto della città. Tali attività non possono esistere senza l’esperienza del giorno precedente, l’11 aprile, che sarà svolta dai ragazzi del Dipartimento di Scienze Politiche, i quali condurranno una ricerca sul campo nel quartiere di San Giovanni. Gli studenti intervisteranno i cittadini sulla loro percezione e consapevolezza rispetto alle trasformazioni in atto nel quartiere e ai processi di rigenerazione urbana partiti dagli anni ’80 e che ancora oggi vedono la possibilità di nuove trasformazioni con nuovi interventi. Tali informazioni saranno rielaborate e poi pubblicate in una stanza di metaverso, appositamente creata, e che poi sarà possibile visitare il giorno successivo, sia da testimoni privilegiati invitati, ma anche da chiunque abbia la curiosità di visionare questo luogo virtuale. I visitatori saranno poi ancora oggetto di interviste perché il nostro obiettivo primario è cercare di capire quanto una narrazione che utilizza le nuove tecnologie, come quella del metaverso, o quelle delle realtà immersive, sia efficace nel raccontare le emozioni e la partecipazione ad alcune trasformazioni urbane nello specifico”.
Lo scorso autunno il presidente dell’Associazione Nazionale Italiana d’Insegnanti di Geografia ha denunciato l’analfabetismo geografico come un problema molto serio, anche nel campo della formazione universitaria. Iniziative come la GeoNight possono contribuire ad arginare questo fenomeno?
“L’obiettivo della GeoNight è proprio quello di divulgare i saperi e le competenze geografiche, utilizzando strumentazioni di coinvolgimento molto diversificate, dai tradizionali seminari accademici alle esperienze laboratoriali più innovative, come le visite sul campo o virtuali. E l’intento è proprio quello di diffondere la consapevolezza dei contenuti geografici, che purtroppo nel tempo si è andata disperdendo. Sicuramente ci sono state delle volontà politiche di ridurre le ore di formazione geografica. Forse non è stata colta la fase di trasformazione della geografia, da geografia fisica a strumento utile a indagare la complessità del quotidiano. Questa disciplina, per sua natura scientifica e metodologica, ha un approccio olistico multidimensionale che è proprio adatto all’interpretare tutte le sfaccettature del mondo reale, dai problemi ambientali ai problemi geopolitici, a quelli delle trasformazioni urbane. Noi confidiamo nella la possibilità che occasioni come queste possano effettivamente avvicinare i cittadini, ad una comprensione che può servire proprio gli strumenti interpretativi di una realtà come quella che viviamo oggi”.
In questo scenario le chiedo: non dovrebbe essere la geografia la materia deputata alla conoscenza e alla salvaguardia del pianeta?
“Ha perfettamente ragione. La geografia è lo strumento e la disciplina che più di altri è adatta ad interpretare questi fenomeni, ma che purtroppo è affetta da un ‘senso di inferiorità’. Mi spiego meglio. La geografia viene spesso percepita come disciplina ‘soft’ rispetto a quelle ‘hard’ che hanno una maggiore visibilità. In Italia, perché ciò non si verifica nel resto del mondo, non si è mai combattuto affinché questa materia fosse effettivamente deputata all’interpretazione dei fenomeni che, come ha citato, sono tutti legati fortemente alla geografia e che invece spesso diventano oggetto di studio di altri campi che, erompendo dai propri confini disciplinari, si impossessano poi invece i contenuti che sono tipicamente geografici”.
La città di Napoli, una delle capitali italiane del turismo, lo scorso ottobre è stata sede di un convegno per docenti e ricercatori sul tema della geografia e, appunto, del metaverso. Come si lega il mondo virtuale alla geografia, e quanto essa è utile per rilanciare le politiche del turismo di una città?
“L’utilizzo delle nuove tecnologie per la geografia è, come dire, immediato. Il mondo virtuale consente di ricreare i contesti fisici, e quindi di tastare con mano gli effetti di alcuni comportamenti. Penso allo scioglimento dei ghiacciai o al fenomeno dell’overtourism: un conto è vederli sulla carta o affrontarli dal punto di vista teorico, un altro è viverli, anche se in modo virtuale. Di conseguenza è possibile immaginare delle politiche che siano più efficaci di intervento sui territori. L’immersività ci consente di vivere una realtà e di simulare delle alternative possibili. Dunque, ritengo che, come altre discipline, anche la geografia possa avvalersi a pieno titolo delle nuove tecnologie che, peraltro, poi potrebbero anche compensare la scarsa affezione degli studenti rispetto a questa disciplina che è considerata un po’ negletta tra le varie discipline”.
Dunque, per concludere, quali saranno gli sviluppi futuri del metaverso, anche applicato al campo della geografia?
“Sicuramente lo sviluppo del metaverso esalterà le opportunità di conoscenza. È stato appurato che utilizzare gli strumenti delle aule multimediali all’interno del metaverso rafforza l’attenzione e l’apprendimento. Questo però comporta una sensibilizzazione non solo degli studenti, ma soprattutto dei docenti. Ciò implica la necessità di mettersi in discussione, di modificare l’approccio allo studio e alla didattica e imparare a fare cose nuove. Quindi noi crediamo moltissimo nelle nuove generazioni, nate digitali. Ci auguriamo che il metaverso possa diventare un po’ come il computer, come internet: uno strumento presente nelle aule, nelle occasioni di approfondimento. Tuttavia, è importante sottolineare che non deve essere il metaverso sostitutivo della didattica, che prevede il contatto tra docente e discente; esso va considerato come uno strumento complementare che, se ben utilizzato, può sicuramente potenziare le attività formative e di apprendimento”.