Il libro
Napoli sulla pelle. L’amore identitario per la maglia azzurra (Iuppiter Edizioni, 2021) è il prezioso saggio sportivo scritto dal giornalista partenopeo e tifosissimo del Napoli, Paolo Trapani – in collaborazione con Renato Camaggio – già autore di altri libri come I nuovi primati del Sud, storie contemporanee di un Mezzogiorno positivo (Edizioni Controcorrente, 2002) e Maledetta Juve, non sappiamo più come insultarti! (Magenes Editoriale, 2017).
La missione di Trapani in questo reportage appare molto chiara: viaggiare nella storia e nella cultura di Napoli e del Napoli, raccontando, attraverso lo sport, il comune sentire dei membri di una società lontana dai crismi moderni, incatenati – per sempre – nella sregolata micro-nazione che è un po’ incanto e un po’ sciagura. Una città-Stato, con i suoi codici, fatta di quartieri, rioni, vicoli, sorrisi, dialetti, balconi tenuti insieme dai vestiti da asciugare. Una città ora anche piena di festoni per la vittoria dello scudetto. O almeno, di quelli che resistono alla purga amministrativa troppo concentrata nelle fallaci lotte per spezzare il serafico ritmo di un popolo legatissimo alle proprie fedi, alle proprie tradizioni e ai propri amuleti.
L’azzurra casacca
Il viaggio attraverso (il) Napoli, Trapani lo compie avvalendosi dell’unico mezzo di comunicazione di massa possibile, quello che scalda i cuori e unisce le anime di generazioni di tifosi, in particolare quelli partenopei: la maglia. Quella azzurra, capace di creare un vincolo tra il sacro suolo di una terra incomprensibile e incompresa e la passione di chi anima e vive, quasi unicamente, per il calcio, vissuto come fosse futbòl latinoamericano.
Se in Europa esiste infatti un luogo in cui dalle finestre è possibile ancora assistere al prodigio di un pallone che rimbalza e qualche ragazzino che, noncurante dei rischi e dei pericoli della strada, corre, cade, tira, esulta, rompe, si sbuccia, si lamenta, ride, quel luogo è certamente Napoli. L’unicità di questa narrazione si respira e si avverte in maniera chiara già nell’introduzione brillante dell’autore che lancia sul tema del legame tifoso-maglia più che qualche semplice riflessione. Tutto ciò che viene inserito dopo, diviso in “Primo Tempo” e “Secondo Tempo” è poi un fulgido excursus della storia del Calcio Napoli attraverso le maglie leggendarie e le epoche della squadra più o meno fortunate: dalla fondazione ufficiale del club avvenuta nel lontano 1926, al curioso aneddoto della maglia “portafortuna” negli anni ‘60; dalla maglia sudicia di Maradona nel fangoso campo di Acerra, scelto per organizzare la famosa partita di beneficenza in cui Diego si dimostrò fuoriclasse in campo e super campione fuori, alla maglia del debuttante Napoli di De Laurentiis in Champions League contro il Manchester City (1-1, Cavani-Kolarov ). Infine, vi è un “terzo tempo” in cui sono illustrate ed approfondite diverse magliette celebri che faranno contento più di qualche collezionista.
Solo la maglia
Ma il punto di forza di Napoli sulla pelle oltre alla dovizia di particolari e alla sudata ricerca che è inevitabilmente servita per la riuscita del libro, è anche il concetto diventato ormai obsoleto dell’attaccamento alla maglia da parte dei giocatori, schiavi e complici dello show-business che è diventato il calcio. Non a caso la retrocopertina del libro di Trapani menziona una massima del più grande giocatore apparso su un campo di pallone, Diego Armando Maradona: “Oggi uno cambia la maglietta come i pantaloni. Da noi le bandiere non si cambiavano facilmente. Già guadagniamo tanto, perché tradire la gente?”. In poche righe il Dios del calcio, intervistato nel 2013 a Che tempo che fa, ha di nuovo spiazzato tutti. Stavolta non con un dribbling ubriacante o con un passaggio a tagliare l’intera difesa ma con una considerazione secca, e, volendo, molto triste e disillusa: le bandiere non esistono più e a credere al fascino della maglia e della sua inviolabile onorabilità restano solo i tifosi, vittime di un sistema corrotto, fasullo e inquinato dai dopanti petrodollari, da fantomatici sceicchi-arlecchini e da business man d’oltreoceano da strapazzo.