Tredici minuti. È questo il tempo che accomuna il Napoli inguardabile di quest’anno da quello scudettato dello scorso. Tredici brevi minuti che hanno intervallato il pareggio di Osimhen, realizzato con uno stacco imperioso a volo d’angelo, vero capolavoro balistico, dal gol del 4 a 2 siglato da Giacomo Raspadori, entrato in campo da poco più di 20 secondi. Risultato con il quale il Napoli ha espugnato l’U-Power Stadium di Monza. In mezzo i capolavori di Politano e Zielinsky, quasi a ricordarci quelli che eravamo e che non siamo più, ma che saremmo potuti essere con il minimo sforzo e la minima capacità di programmazione, utile a dare continuità al miracolo calcistico dello scorso anno. Ciò che è stato è stato ovviamente, inutile ragionare con i se e con i ma. Ma riflettere ad alta voce aiuta sicuramente. È un esercizio di forte impatto psicologico, necessario delle volte ad individuare quali siano gli errori commessi al fine di non ripeterli, dove siano le colpe di sbagli incredibili, di mortificazioni che non meritava una tifoseria che finalmente poteva sventolare con orgoglio, in giro per l’Italia, lo stemma più ambito. Ed invece così non è stato; non si è riusciti, incredibilmente, quanto meno a provare a ripetersi. Non è questo il pezzo all’interno del quale andremo a ripartire quelle che secondo noi sono le responsabilità. Quelle della società sono palesi, ovviamente. Sta di fatto, però, che fa riflettere, molto, vedere una squadra che quando decide di giocare a calcio lo fa con una disinvoltura ed una fluidità di manovra tali da essere ancora oggi inarrestabile. Quando non decide, invece, al netto delle falle di mercato che hanno portato la rosa dei titolari ad indebolirsi, è capace di farsi mortificare sui campi più impensabili. Per questo il 4 a 2 di Monza fa male, perché certifica probabilmente come non tutti abbiano fatto fino in fondo il proprio dovere, distratti, scontenti o fisicamente arrivati. Che non tutti abbiano colto l’importanza storica del potersi ripetere, in una piazza ed un’area geografica, il Sud, che troppo poco spesso riesce a competere, in continuità, con il resto del Paese.