Quando il calcio non era ancora uno sport ma solo un gioco guardato con curiosità, crescente interesse e, al pari della vita, scorreva in un bianco e nero che, nella città di Napoli, vedeva prevalere la tonalità scura su quella chiara, al pari di quanto già accaduto nei grandi centri del Nord quali Genova, Milano e Torino, un inglese pensò bene di importarvi il nuovo passatempo direttamente dalla propria nazione che, storicamente, è riconosciuta come la terra che ha dato i natali a quella che oggi è la pratica sportiva più praticata e seguita al mondo.
Correva l’anno 1904 e tale mister Potths, impiegato presso una compagnia di navigazione britannica, costituì il “Napoli Cricket and Football club”: la maglia era, come si era soliti fare allora, a righe verticali azzurre e blu scuro e non a tinta unica.
I primi campi da gioco a Capodichino e nel quartiere Porto
L’effetto del nuovo gioco in città fu letteralmente dirompente e la passione per la neonata maglia blu-celeste esplose e si diffuse in men che non si dica. Improvvisati, ovviamente, i primi impianti sportivi dove il Napoli Cricket and Football club, dal 1906 semplicemente Naples Foot-ball Club, giocò le sue prime gare e arrivavano ad ammassarsi, in piedi, anche qualche centinaio di persone.
Si iniziò nello storico “Campo di Marte” in un’area ove, attualmente, sorge la pista dell’aeroporto internazionale di Napoli-Capodichino; ma, poco dopo, si passò a giocare nel celebre “Mandracchio” in via Cristoforo Colombo, zona porto cittadino. Parliamo, ovviamente, di poco più che campetti spelacchiati con quattro pali a far da porte e la gente a bordo campo a tifare.
Campi Flegrei: il primo embrione di stadio
Arrivò, quindi, il momento del passaggio a quello che, ai tempi, poteva considerarsi una sorta di idea di stadio: a due passi da dove sorge oggi il Diego Armando Maradona e, precisamente, in via Campegna, area occidentale della città, alle spalle dell’attuale stazione ferroviaria dei Campi Flegrei. La struttura evolverà poi in quello che oggi è l’impianto del Cus-Napoli con tribune in cemento per circa mille posti.
Vigilia della Prima Guerra mondiale: si gioca ad Agnano e il Poligono Vittorio Emanuele
Siamo nel 1912, il calcio del Nord domina in lungo e largo e quello che adesso è conosciuto come il Naples si trova a rivaleggiare con una nuova realtà calcistica cittadina: l’Unione Sportiva Internazionale Napoli, nata proprio da una scissione con il Naples FCB. Proprio a partire da quell’anno le due squadre parteciperanno alla Prima Categoria, massima divisione dell’epoca. Arrivano i primi campi da calcio veri e propri. In quegli anni, infatti, le due squadre napoletane giocheranno, alternativamente, tra lo stadio di Agnano, costruito ed inaugurato nell’ottobre 1912 in quella che oggi è l’area dell’ippodromo cittadino, dotato di tribuna e spogliatoi in legno, costo d’ingresso al campo mezza lira; il “Vittorio Emanuele”, ai piedi della collina di Posillipo, ricavato in spazi adiacenti l’allora poligono di tiro: campo sabbioso, gradoni per il pubblico e spogliatoi per gli atleti in muratura, addetti preposti alla raccolta, tra primo e secondo tempo, del prezzo del biglietto tra gli spettatori presenti; lo “stadiolo” interno all’Ilva di Bagnoli con spalti in legno ed una capienza che può arrivare fino a 8mila posti ma che, in alcune sfide negli anni successivi al conflitto bellico tra Naples ed Internazionale, vedrà stiparsi fino a diecimila persone. Per motivi di carattere finanziario le due squadre cittadine si fuserò dando vita ad una nuova ambiziosa compagine: il Foot-Ball Club Internazionale-Naples, meglio noto come FBC Internaples.
Nasce l’Associazione Sportiva Calcio Napoli. Il presidente Giorgio Ascarelli e la costruzione del “Vesuvio”
Il 1° agosto 1926 l’Internaples cessa di esistere, cambiando denominazione in Associazione Calcio Napoli. Nasce così il Napoli per come lo conosciamo oggi, con l’imprenditore Giorgio Ascarelli a capo della società. Inizialmente, il primo presidente della storia azzurra, con un vero e proprio colpo di mano, occupa un campo con annessa pista ciclistica all’Arenaccia, utilizzato dai militari per le loro operazioni durante il passato conflitto bellico. A proprie spese lo ristruttura e dota di spalti in muratura per una capienza di 12 mila posti: il 90 per cento dei quali in piedi. Su questo campo in coabitazione con le autorità politico-militari dell’epoca, rimasto nella disponibilità dell’esercito ed oggi conosciuto come il “Generale Albricci”, esordirà uno dei primi idoli della tifoseria azzurra: l’attaccante italo-paraguaiano Attila Sallustro.
Giorgio Ascarelli, però, non è soddisfatto della soluzione e lo stadio vuole costruirselo da solo sul modello delle società inglesi. Individuata l’area nei pressi della stazione ferroviaria centrale di Napoli, a spese proprie e in soli sei mesi, costruirà il “Vesuvio: impianto moderno da ventimila posti inaugurato, purtroppo, nel marzo del 1930 ad appena poche settimane dalla morte del suo costruttore. Ribattezzato con il nome del primo presidente del Calcio Napoli, successivamente, causa le origini ebraiche di Ascarelli, il fascismo lo rinominerà “Partenopeo”. Distrutto da un bombardamento inglese nel ‘42, dalle sue ceneri sorgerà ex novo il “Rione Ascarelli”: omaggio al fondatore della squadra di calcio della città di Napoli.
L’Arturo Collana già Stadio Littorio
Privo della propria casa nel già Rione Luzzati, dopo un breve interregno in un campo di fortuna all’interno dell’Orto botanico in località piazza Carlo III di Borbone, il Napoli si accomoderà in quello che sarà il proprio stadio fino alla costruzione del San Paolo, oggi Maradona, in quel di Fuorigrotta: l’Arturo Collana al Vomero. Costruito durante il regime ed inaugurato con il nome “Littorio” alla fine degli anni Venti, dotato di pista di atletica leggera, poteva originariamente contenere fino a quarantamila spettatori grazie all’aggiunta di tribune amovibili. Ospiterà le gare interne del Napoli del “Comandante” Achille Lauro fino a quando sarà lasciato per trasferire la squadra nel neonato impianto sportivo in località Fuorigrotta. Il Collana è attualmente di proprietà della Regione Campania che ha varato un importante progetto di restyling per rifarne completamente la struttura.
Dicembre 1959. Nasce lo stadio San Paolo
L’attuale stadio degli azzurri, che oggi si chiama “Diego Armando Maradona”, ha conosciuto diverse ristrutturazioni. Fu costruito in soli sette anni, tra il 1952 ed il 1959, per espressa volontà del presidentissimo azzurro Achille Lauro che, all’epoca, era anche sindaco della città. Dotato di pista di atletica leggera e nei tempi d’oro arrivato ad una capienza ufficiale di oltre 85 mila spettatori che, magicamente, negli anni sportivamente felici lievitavano fino a sfiorare o superare le novantamila unità (anche se c’è chi giura che per la gara contro il Perugia, fine anni Settanta, accorsero fino a centomila napoletani per fischiare un certo Paolo Rossi che aveva rifiutato il trasferimento in maglia azzurra). In occasione del mondiale del 1990 il San Paolo subì un primo ammodernamento, con l’aggiunta dei sediolini e della copertura in policarbonato traslucido. Un schiaffo al primo progetto del 1988 firmato dall’architetto Fabrizio Cocchia – figlio di Carlo che progettò lo stadio in origine – e dell’architetto Giuseppe Squillante che prevedeva una copertura più leggera, ancorata a strutture verticali esterne all’impianto. Prevalsero le ragioni degli speculatori, perché la gara d’appalto prevedeva un costo variabile al chilo per il materiale utilizzato, nel senso che più se ne utilizzava e più i costi, e di conseguenza i guadagni per i costruttori, sarebbero stati alti. Fu quindi revocato l’incarico a Cocchia-Squillante, per preferire la gabbia metallica (8.5 milioni di chili invece dei 2 milioni di quella iniziale) progettata dall’ingegner Luigi Corradi. A ciò si aggiunse la costruzione del terzo anello, che per circa 10 anni ha portato la capienza dello stadio a 70mila spettatori, per poi essere chiuso per inagibilità agli inizi del 2000. Il San Paolo ha poi subito un secondo restyling in occasione delle Universiadi del 2019, con l’aggiunta di due maxi-schermi, il rifacimento dei servizi sanitari e il ricambio totale dei sediolini, con l’abbandono di quelli rossi, ormai sbiaditi sul rosa, per l’avvento di quelli azzurri con varianti gialle e bianche, a formare, tra l’altro, la scritta “Napoli” nel settore Distinti. Con quest’ultimo intervento i posti a sedere si sono ridotti da 60mila a quasi 55mila e potrebbero calare ancor di più nel caso andasse mai in porto il progetto dell’attuale proprietario azzurro De Laurentiis che sogna una bomboniera da quarantamila posti con strutture ricettive, centri commerciali e attività di ristoro a farlo vivere una intera settimana, h24, e non solo nel pur importante giorno dell’evento della gara casalinga, nazionale europea, del Napoli.